Emorragia cerebrale a 6 anni (…l’uomo del ponticello)

I genitori di Arianna raccontano di come, 3 anni dopo l’emorragia cerebrale che ha colpito la figlia, vengono casualmente a conoscenza del RivaMethod. Alessandro Nebbiai (osteopata) e Dario Riva (Direttore Centro Propriocezione – Torino).

Era una tiepida mattina di una domenica di maggio.

I bambini (una femmina e un maschio di 9 e 6 anni) avevano proposto un giro in bicicletta in uno dei parchi più vicini. Alla fine la scelta ricadde sul Parco della Pellerina. Abituati a trascorrere il weekend in montagna, per noi il parco non era una meta abituale ed era la prima volta che visitavamo quel parco da quando Arianna aveva dovuto iniziare un lungo percorso di recupero, dopo una emorragia celebrale che l’aveva colpita all’età di 6 anni.

Pronti, si parte: i bimbi con le bici e i genitori di corsa a seguire. Percorrendo un viale del parco la nostra attenzione ricadde su un signore che con agilità balzava su un muretto che fungeva da parapetto di un piccolo ponte ed eseguiva, in equilibrio su una gamba, dei piegamenti fino alla posizione accovacciata. Tutti noi, compresi i bambini, rimanemmo impressionati dalla facilità con cui quel signore eseguiva un esercizio così difficile.

Il piccolo ponte del Parco della Pellerina

Proseguendo la passeggiata i bambini vollero provare a saltare dei piccoli ostacoli e fu in quel momento che proprio quel signore mi si avvicinò presentandosi come medico dello sport e pediatra che si occupa di movimento e recupero delle capacità motorie. Notando le difficoltà di mia figlia si era fermato pensando che avrebbe potuto forse esserle di aiuto.

Seppur sorpresa mi ritrovai a raccontargli la storia di mia figlia, a cui l’emorragia cerebrale aveva causato una emiplegia sinistra e che, su consiglio dei fisioterapisti che la seguivano, portava un tutore che arrivava fino a sotto il ginocchio e che evitava la “caduta” del piede durante il cammino. Quel signore era il dottor Riva, l’inventore del Metodo Riva e del sistema Delos, un innovativo strumento di valutazione e riprogrammazione delle capacità di motorie.                                                

Pur avendo paura di essere incappati nel solito “venditore di fumo”, il desiderio di non trascurare anche la più piccola opportunità, insieme al pensiero che forse il destino volesse in parte “recuperare” lo sgarbo fattoci qualche anno prima, decidemmo di incontrarlo.

Fissammo un primo appuntamento conoscitivo ed andammo a trovarlo nel suo studio: con un tono pacato e deciso, ci spiegò che il tutore causava più danni che benefici e ci diede le informazioni necessarie per capire meglio in cosa consistesse il suo metodo. Fissammo così un successivo appuntamento con la bambina, per permettere al medico una valutazione clinica e funzionale, sperando ci potesse confermare l’applicabilità del suo metodo al nostro caso.

Le sensazioni durante il lavoro erano ottime: come tutti i bambini, anche nostra figlia trovava la fisioterapia noiosa, ma forse l’aver sentito che le avrebbe permesso di non mettere più il tutore, che odiava con ogni sua energia, la convinse a proseguire.

Il percorso di recupero prevedeva un primo periodo con due sedute alla settimana per poi fissarsi in un incontro settimanale, frequenza tuttora mantenuta.

Da quando ha iniziato la terapia, la bambina ha avuto un’importante evoluzione.

Non solo ci sono stati evidenti miglioramenti nell’uso della gamba, ma è cambiato il quadro generale: il colorito e la temperatura del piede, prima freddo e cianotico, sono ritornate normali. Ma è soprattutto la forma del piede che è cambiata: dopo l’incidente il calcagno era diventato varo e il piede aveva assunto una forma ricurva verso l’interno, facendo gravare tutto il peso del corpo sulle ossa esterne del piede (V° metatarso), con sviluppo di notevoli callosità.

Con l’applicazione di questa metodologia, progressivamente il piede ha riassunto la forma normale, grazie alla riattivazione di muscoli che in seguito alla lesione erano diventati troppo deboli per bilanciare l’azione dei muscoli antagonisti (cioè che tirano nella direzione opposta). Il Riva Method “ha allenato” quei muscoli rendendoli sufficientemente forti a contrastare la trazione esercitata dagli antagonisti.

Questi risultati hanno migliorato la fluidità e la sicurezza dei movimenti nelle attività della vita quotidiana di nostra figlia ed in particolare nel gioco, nel cammino e in tutte le attività sportive come ad esempio lo sci.

Come vedo il futuro?

Sono convinta che se mia figlia fosse più determinata, potrebbe ottenere risultati ancora migliori (l’adolescenza non aiuta), ma riguardando indietro, mi rendo conto che questo pensiero è già evidenza di un successo forse insperabile fino a qualche tempo fa.